Febbraio è arrivato, è già quasi a metà, ma per Tulipando è giunto il momento di tornare a viaggiare. Questa volta però non viaggeremo fisicamente, ma lo faremo con la mente attraverso il racconto di Emanuele! Per la serie "Io Viaggio Con... Emanuele in Kenya"!
Immaginate di sentirvi piccoli, piccolissimi al cospetto di spazi infinitamente vasti. Perfetto. Ora immaginate di sentirvi parte di qualcosa di enorme, di qualcosa di più grande di voi, di una comunità o una paese intero. Ecco, tutto questo è ciò che si può provare vivendo l’Africa.
Siamo agli inizi di agosto, con i preparativi per la partenza ormai agli sgoccioli. Nella testa una pioggia frenetica di domande e dubbi sul cosa aspettarmi e su come sarebbe potuta essere quella realtà di cui ero convinto a noi arrivasse un’immagine beceramente distorta.
Ho voglia di vedere. Ho voglia di sentire, toccare e respirare l'Africa.
Finalmente passarono i giorni di attesa, il nostro aereo atterrò a Nairobi dove ci stava attendendo lo scalo per Mombasa e, se l’impatto all’interno del terminal internazionale non sembrava poi così violento, uscendo per raggiungere i voli nazionali le cose presero tutt’altra piega.
Un rotondo e afoso miscuglio di odori acri riempie le narici, mentre le orecchie vengono tartassate dai versi e gli strombettii di strani e rattoppati furgoncini simil T2 Volkswagen. Furgoncini completamente aerografati con le più vivaci e disparate fantasie che si azzuffano nel tentativo di caricare il maggior numero di passeggeri prima di partire per la folle corsa cittadina. Il numero di persone bianche era sceso a meno di una decina, e seppur per noi non fosse un grosso problema era evidente fossimo oggetto delle occhiate talvolta curiose, altre volte diffidenti.
Inutile nascondere che arrivando in piena notte le raccomandazioni che avevamo ricevuto erano di prestare attenzione e di essere prudenti. In effetti a Nairobi un po' di soggezione l'abbiamo percepita.
Per fortuna è bastato uscire dall'aeroporto di Mombasa che a smorzare il nostro malumore arrivò Matano, assistente di fiducia della casa famiglia. 100 kg abbondati di simpatia e gentilezza che, a bordo di un'arrancante macchinina azzurra anni 90, ci fece da cantastorie tessendo l’interludio al mondo che stavamo per scoprire.
Il viaggio tra Mombasa e Kwale (periferia nella quale si trovava la casa famiglia) era all’incirca di una quarantina di chilometri, lungo i quali si susseguivano strade piene di rifiuti, case in macerie e l’immancabile via-vai di moto, tuc-tuc e furgoncini portapersone.
Per tutti i quaranta chilometri nella luce soffusa dei lampioni ci raccontò con un enorme sorriso di come il governo non elargisse soldi per sistemare le pessime condizioni strutturali di palazzi e delle infrastrutture, che ai nostri occhi appaiono rattoppate alla bene e meglio nella speranza di allontanare il più possibile il giorno della dipartita. Racconta di come l'Africa abbia subito il colonialismo irrazionale dell’Europa, del problema dei rifiuti, delle droghe economiche che divorano i poveri, ma di come, nonostante tutto, c’è sempre un motivo per cui sorridere.
Il viaggio passò veloce tra una parola e l'altra, ed in tarda notte il nostro malmesso mezzo di trasporto ci consegnò alle porte di quella che avremmo chiamato per i prossimi venti giorni Casa. Si trattava di una costruzione in pietre di corallo e malta, senza vetri alle finestre e con un simpatico tetto di lamiere sorretto da tronchi e rami.
Seppur il risveglio fu accompagnato da intervalli di pioggia che fastidiosamente picchiettavano sul tetto di lamiera, dopo la prima colazione africana la situazione cominciò a prendere un'altra piega. Fatta la conoscenza del marito Salimu e del piccolo Alí, Jessica, la responsabile del progetto, ci parlò a grandi linee dello svolgersi della giornata tipo, degli impegni con i bambini e gli impegni della casa.
Ci spiegò delle taniche per la raccolta dell’acqua piovana, di come utilizzarle per lavarci e per lavare i piatti, ci raccontò di quanto fosse un bene prezioso e si raccomandò di non sprecarne. Tutto cominciava a prendere gusto. Seppur inizialmente impacciati, cominciammo a trovar piacere in quel rituale per la doccia, nel far bollire l'acqua piovana su una bombola di gas e nel mischiarla con acqua fresca.
Anche la situazione cibo cominciava a migliorare. Il pesce al latte di cocco accompagnato dall’immancabile Ugali diventavano sempre più buoni, i Chapati, i Samosas, Viazi karai e chi più ne ha più ne metta.
Tutto era un crescendo di emozioni e scoperte, tutto ci sorrideva sempre un po’ di più. Ed i sorrisi... non c'è persona che non saluti con un sorriso. I sorrisi dei bambini con cui quotidianamente si giocava, quello dei medici che si occupavano di vaccinarli, dei meccanici che orgogliosi mostravano la loro officina, dei venditori al mercato, degli amici e i familiari di Jessica e Salimu.
Tutti sorridevano in maniera contagiosa ed era bellissimo.
Presa dimestichezza con la routine della vita africana era tempo di esperienze. Il battesimo fu la visita al Parco nazionale di Tzavo che, con i suoi 13.747km2, ospita quasi la totalità della fauna keniota.
Vedere gli animali nella savana è un esperienza mistica, scrutare alberi e cespugli lungo il tragitto nella speranza di intravvedere qualcosa, di scoprire uno scorcio di vita di cui hai solo sentito parlare. E poi, guardare l'alba in mezzo alla savana riempie il cuore come poche altre cose.
Purtroppo tutte le cose belle finiscono, ma per fortuna ci attendevano altre scoperte. Tornati da Tzavo e passata un'altra settimana affaccendati con la vita del villaggio fu il momento di Shimba Hills. Contrariamente a Tzavo, Shimba Hills è una riserva nazionale molto più modesta, all'interno dei suoi 192,51km2 di giungle ospita solo poche migliaia di animali, ma non per questo merita minor rispetto. Tra le viscere più remote dei suoi alberi, Shimba Hills custodisce uno dei posti più magici che io abbia avuto fortuna di vedere.
Dopo una camminata di qualche chilometro, protetto dalle chiome degli alberi, si nasconde un bacino in cui si riversa una splendida cascata con colori che variano dal verde al trasparente. Inutile dirvi che in men che non si dica i vestiti sono stati abbandonati a riva per immergersi in quello scorcio di paradiso.
L'ultima escursione che ci siamo concessi è stata Shimoni, cittadina costiera che offre la possibilità di fare snorkeling nell'oceano. Incontri con i delfini, atolli dispersi in mezzo al nulla e una varietà infinita di coloratissimi pesci hanno rallegrato quella giornata in cui il sole faceva solamente capolino alternandosi alle nuvole.
Questi... sono tutti momenti a cui penso con il sorriso, a volte un po' malinconico, così come fu il momento dei saluti con i bambini al quale ci eravamo innegabilmente affezionati. Altre volte ci penso con enorme orgoglio per aver fatto parte, seppur in maniera molto fugace, a un progetto bellissimo di solidarietà, del quale non facevano parte solo i responsabili della casa famiglia, ma tutta un'intera comunità.
Il mal d'Africa esiste, e non è descrivibile con le parole. È da vivere, da respirare.
Il mio personale mal d'Africa l'ho impresso in un'immagine, che solo immagine per me non è. È un regalo che vi faccio, un regalo che faccio anche a me.
Buon viaggio a tutti.